BIOGRAFIA DI DANTE ALIGHIERI


6. Dalla "Vita Nuova" alle rime dottrinali



L'asserita impossibilità di procedere secondo una direzione univoca, che conglobi diacronicamente e sincronicamente l'attività dell'uomo politico, a contatto con una situazione etico-sociale in continuo fermento, e l'impegno del letterato, il quale alle prime letture di Provenza e di Francia, di Sicilia e di Toscana va unendo un interesse sempre più profondo per la filosofia della Scolastica e per le voci degli auctores classici, è complicata da un altro ostacolo: disporre le Rime (e in esse i componimenti della Vita Nuova) lungo un ordine cronologico anche approssimativo, e riscontrare assetti e fasi di chiara autonomia formale e concettuale, oltrepassando il momento del melodioso afflato amicale rappresentato dal sonetto Guido, i' vorrei e tracciando un itinerario artistico personale e originale, con sempre più accentuato superamento tanto del pensiero quanto dell'esperienza stilistica dei contemporanei.

Già nel lavoro attorno alla parafrasi del Roman de la Rose, il Fiore (se esso è opera del primo periodo, e non si vede come possa essere collocato verso le ultime battute del sec. XIII), la necessità di attingere a moduli espressivi estranei alle scuole cortesi (o di Guittone o del primo Guido), i frequenti imprestiti linguistici allotri all'usus della cultura fiorentina di metà Duecento, esigenze grammaticali e sintattiche inaudite, esperimenti particolarmente difficili sulla rima, istanze di conservazione dei gallicismi onde poter meglio rendere la patina del testo originale e una certa qual atmosfera aulica, creano nel "Ser Durante" del Fiore e quindi del Detto d'amore l'obbligo di raccogliere tutti i materiali utili anche nel settore della tradizione realistica post-giullaresca e post-goliardica. L'autore del Fiore non aveva dinanzi a sé gran copia di elementi in volgare: il Tesoretto e il Favolello (ma non tutto), le rime comiche e quelle cortesi di Rustico messe a confronto, di modo che già in Firenze Dante trovava prova della necessità di misurarsi nei due stili: il volvol e lo sturbignon minacciati sul capo della vecchia rabbiosa dal Guinizzelli, infine le prove anomale del Cavalcanti, sempreché il sonetto sulla scrignutuzza non sia esso stesso sotto l'influsso di Dante giovane e magari dello stesso Fiore, e non ne anticipi toni e scelte lessicali. Doveva quindi effettuare una ponderosa fatica di adattamento della lingua del Roman de la Rose, ricchissima, al repertorio lessicale italiano troppo scarno, se non proprio povero, rispetto al patrimonio della Francia.

L'eccezionalità del lavoro linguistico dell'autore del Fiore non dovrà tuttavia essere chiamata a giudizio per accrescere le difficoltà che lo studioso incontra nel tentativo di assegnare un ordine approssimativo a quei testi che non divennero mai pezzi di un 'canzoniere'. Si dovrà per converso riconoscere che un'ipotesi di maggiore intensità del divertissement comico (e comico ed elegiaco) nella zona centrale del periodo della giovinezza letteraria di Dante, è pienamente ammissibile, corrisponda o no alle clausole e alle peculiarità del cosiddetto 'traviamento'.

Anche in questa molteplicità d'interessi Dante è nel vivo di un ricchissimo poliforme ambito sociale, tuttavia non a rimorchio di alcuno tra i poeti coetanei o appena di poco più anziani; ma è bene guardarsi dall'errore di cristallizzare rigidamente impressioni di tal fatta, a quindi ritenere il Fiore e il Detto esercizi di scuola, la Tenzone un diretto impatto con la vita della Firenze popolana, la Vita Nuova una solitaria meditazione di spirito aristocratico. Tutte le opere giovanili di Dante vivono al tempo medesimo nella società pubblica e in quella letteraria (le quali possono incontrarsi più volte, mai coincidere in ogni impulso e interesse), sì da veder nella Vita Nuova la forma suprema di un civile consorzio, il quale conversa attraverso i vari personaggi dell'opera (Beatrice, le donne dello schermo, la donna pietosa, ecc.) con un pubblico pronto a recepire la veste allegorica e l'argomentare dottrinario, e a tributare onori all'autore per aver unificato la raffinata enunciazione di concetti amorosi nel chiuso della speculazione individuale del poeta e l'animato discorso romanzesco aperto alle richieste narrative della collettività: insomma tutte le aspirazioni di un'élite che aveva conservato come sacro il patrimonio dell'antica cultura (da Cicerone a Boezio) e pur era volta ad allegoricizzare e spiritualizzare i problemi dell'umano amore nella visione religiosa della vita attuale. La Vita Nuova, nell'offrire una struttura assai originale di 'romanzo allegorico', rivelava il netto superamento e, al tempo medesimo, il perentorio inveramento dei fermenti innovatori che le prime rime avevano potuto esprimere soltanto in modo episodico; il superamento è nell'ordine stesso della struttura letteraria che abbandona le occasioni (inchiesta e referendum di Dante da Maiano, tenzoni cortesi con Chiaro Davanzati, dubbi comunicati a Puccio Bellondi - se son di Dante Tre pensier aggio, Già non m'agenza, Chiaro, e infine Saper vorria da voi,) per diversa e più alta occasione, conquistata mediante la disciplina del labor limae sui prodotti giovanili, in gran parte riscritti e aggiornati stilisticamente all'atto d'inserirli nel racconto.

Dalle rime dottrinali e dal Convivio alla Commedia avverrà un movimento sempre più in latitudine, sempre più verso l'antico oltre che verso il contemporaneo, dalle molteplici linee parallele che non hanno l'eguale nella unitonalità stilistico-concettuale della Vita Nuova a quel monstrum di variationes spaziali-temporali-culturali che sarà il poema: si può dire di un passaggio dalla Firenze duecentesca del libro giovanile a un'Europa trecentesca della Commedia, in perfetta analogia con quanto si verifica tra l'elegia fiorentina della Tenzone e il realismo toscano ed extra-toscano dell'Inferno. Con questa differenza di prospettiva: che la Vita Nuova è un'opera conclusa in sé stessa, anche come panorama di una vita aristocratica in Firenze (la città non era allora scevra di lutti politici, ma questi sembrano relegati in una zona morta che non macula il clima estatico della storia d'amore), mentre gli esperimenti realistici sono più dichiaratamente fiorentini, dall'onomastica alla toponomastica, dalle usanze demotiche al lessico becero, ma sono pur sempre saggi o assaggi di una materia stilistico-letteraria che sarà destinata a confluire in un'occasione più grande, sì da non esserne, come pare, autorizzata la divulgazione. La Vita Nuova, invece, è stata scritta per essere divulgata a molti, nel senso che induce a riflettere sulla vasta funzione educativa che Dante si proponeva di esercitare con un'opera 'attraente' e organica, qual è il 'romanzo' della vita giovanile rispetto alle minori possibilità insegnative che potevano esprimere gli aristocratici canzonieri dei bolognesi e degli amici fiorentini.

Le rime dottrinali possono essere reputate il 'terzo stile', perché ancor di più estravaganti da un disegno armonico di canzoniere, poi perché si dilatano al di là dell'esperienza fiorentina, affacciandosi nel complesso ampio panorama culturale e ambientale dei primi anni dell'esilio, e infine perché sono compromesse dal disegno originario del Convivio e si saldano direttamente con la materia dottrinale della Commedia, pur conservando la netta impronta di ideazioni e stesure in parte coeve alla Vita Nuova (almeno per le prime due canzoni del trattato enciclopedico), in parte collegate a quel momento di civiltà intellettuale. Sono dunque aperte sul presente e non chiuse all'antico discorso della loda,e attuano quella saldatura di cui s'è detto, proprio in ragione della loro 'estravaganza' di occasioni e riflessioni che vanno e vengono nella lunga storia del tormento dottrinale dantesco, dal 1293 di Voi che 'ntendendo all'estremo limitare duecentesco di Poscia ch'Amor del tutto m'ha lasciato, attraverso l'impegnatissima elaborazione di Le dolci rime d'amor ch'i' solia, ove, supponendosi nell'argomento una contrapposizione in pratica inesistente tra le rime dolci e quelle aspre e sottili, si proclama a tutte lettere la necessità di un adeguamento totale della lingua alle esigenze espressive di travagliate disquisizioni filosofiche, con larghi ricorsi alle terminazioni della teologia morale, e dunque temperando il calamo a tutte le difficoltà formali che la mirabile visione presenterà tra breve, pur senza perdere il necessario contatto tra la glorificazione della vera nobiltà e la consapevolezza del preminente valore della ragione, e al tempo medesimo con piena coscienza di dover superare gli schemi allegorici dello Stil nuovo per un'ars della filosofia di completa novità formale oltre che sostanziale, la quale, celebrando la vera natura dell'omo gentile, consacrava la perenne validità di un pregio che non consisteva nella ricchezza (come i magnati combattuti dal guelfo poeta volevano affermare) ma nell'assoluta nobiltà dello spirito.

Non attraverso la mera sostituzione di una poetica con altra più convincente Dante s'avvia verso il Convivio e la Commedia. Egli conduce un discorso nuovo su un piano nuovo. Insomma con l'aiuto della Donna gentile riapproda a Beatrice, e dunque, fuori e al di sopra del simbolo e delle allusioni metaforiche, con la directio voluntatis della poesia morale rinnova le risorse dell'amoris accensio (D.V.E II ii 8), e cioè della lirica d'amore. Da poeta si fa filosofo per poter poi ritornare con altra voce omai, con altro vello (Par. XXV 7) poeta.