Magnati e Popolani
 
 

Nella Firenze dei tempi di Dante il termine popolani va spesso inteso nel senso di Popolo Grasso, composto da mercanti e imprenditori e facente capo alle Arti Maggiori; mentre quello di magnati indica sì i nobili, ma non necessariamente di antica nobiltà (salvo rare eccezioni), e quindi più genericamente definisce l'appartenenza ad un gruppo di potere.
Infatti, la distinzione tra magnati e popolani non è rigidamente concepita: i primi (detti anche Grandi), oltre che percepire le rendite dei loro patrimoni fondiari, possono impegnarsi in attività commerciali e bancarie, entrare nelle Arti maggiori e venire così in stretto contatto con le famiglie più ricche del cosiddetto Popolo Grasso. Parallelamente certe famiglie della ricca borghesia spesso si imparentano con quelle dei Magnati, tendono ad imitarli, ad assumere talvolta forme di vita cavalleresca e quindi a passare gradatamente nel ceto magnatizio.
Ne consegue quindi che magnati e popolani non esprimono sempre ceti diversi, ma sono di fatto entrambi espressione dell'ambiente plutocratico e borghese della Firenze di fine Duecento.
Tuttavia, se dal punto di vista socio-economico è innegabile una certa omogeneità fra i due gruppi, ciò non significa che il ceto dirigente della Firenze dei tempi di Dante non sia diviso da profonde ostilità. Esiste infatti, accanto a questo, una schiera di artigiani, soprattutto del Popolo Minuto (composto appunto da piccoli e medi artigiani, e da coloni inurbati) esclusi dalla vita politica della città.
La vocazione antimagnatizia di Firenze in questo periodo va ricercata proprio nei piccoli e medi artigiani che spingono i popolani del Popolo Grasso verso una legislazione che colpisca chi è troppo potente fra i Grandi (o Magnati) e il Popolo Grasso.
Da questa situazione nasce l'esigenza degli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella.

Riferimenti bibliografici





 

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