BIOGRAFIA DI DANTE ALIGHIERI


13. L'ambasceria a Venezia. La morte



È lecito ritenere fatto sostanzialmente sicuro la partecipazione di Dante all'ambasceria ravennate a Venezia nel 1321, inviata da Guido Novello per scongiurare i propositi di guerra della repubblica di San Marco, sdegnata per i continui attacchi delle navi di Ravenna; le testimonianze prendono avvio già dal Villani, "essendo tornato d'ambasceria da Vinegia in servigio de' signori da Polenta"; lo ripete il Pucci, ma tace del tutto il Boccaccio, mentre sulla scia di Giovanni il nipote Filippo Villani elabora una complicata leggenda, e dopo di lui Domenico Bandini, Giannozzo Manetti, ecc.; secondo Filippo i Veneziani avrebbero impedito a Dante di pronunziare la propria allocuzione nel timore che ne potessero restare persuasi; e poi avrebbero negato a Dante di ritornare per la via di mare timorosi che il poeta portasse dalla propria parte l'ammiraglio della flotta (la qual leggenda documenta il mito della parola di Dante capace di persuadere i più recalcitranti, e inoltre scaturisce dalla necessità di trovare un responsabile per la fine del poeta, facendo leva sopra un diffuso sentimento di avversione alla politica dei Veneziani).

Quanto al periodo esatto della missione diplomatica, si oscilla tra la fine di luglio e i primi di agosto; tuttavia, poiché un documento del 20 ottobre, in epoca dunque assai più tarda, assicura la presenza a Venezia di ambasciatori ravennati (fu al momento in cui Ravenna riuscì a comporre la vertenza), si può ritenere che si tratti di un'unica spedizione di messi, partiti nell'epoca in cui si paventava imminente il conflitto (metà di agosto), e rimasta sul posto a trattare coi governanti veneziani, a eccezione di uno di essi, per l'appunto l'Alighieri, ammalatosi a Venezia o colpito dal morbo durante il viaggio di andata, e tornato indietro in così gravi condizioni di salute da perire qualche settimana dopo. Beninteso è ammessa anche l'ipotesi inversa, cioè trattarsi di due distinte spedizioni diplomatiche, la prima preliminare e interlocutoria (in essa Dante, rientrato dunque coi colleghi di missione), la seconda con poteri più precisi e atta a definire la vertenza. Quanto Dante possa aver realizzato, se pur mise piede in Venezia, è indeterminabile; ma è possibile pensare ch'egli non avesse, né volesse avere compiti precisi, appagandosi Guido Novello di schierare a proprio vantaggio, nel gruppo dei messi, un così illustre personaggio, la cui sola presenza poteva garantire i Veneziani dell'onestà e lealtà delle profferte di pace del Da Polenta: insomma una partecipazione meramente rappresentativa, che il poeta non aveva modo di rifiutare al suo grazioso ospite.

Circa l'anno della morte non ci sono dubbi; c'è perplessità tra gli antichi quanto al mese, però esclusivamente per influsso dell'errore del Villani: "Nel detto anno 1321, del mese di luglio, morì Dante Alighieri... "; se non bastasse il Boccaccio per farci certi che il mese fu di settembre, si chiameranno a prova definitiva i testi degli epitaffi; ma è proprio qui il tema (l'unico a essere ammesso al dibattito) del disaccordo: quale giorno di settembre. Per i codici del Cento e per il Boccaccio è il 14 settembre, per gli epitaffi il 13 settembre. Se una scelta s'impone, l'opzione non può andare che ai due autori delle iscrizioni, quali coloro che abbisognavano dell'esattissima indicazione ed erano più in grado di procacciarsela. Oggi prevale un'ipotesi compromissoria, la quale fissa l'evento luttuoso nella notte dal 13 al 14 o anche alle ore piene del 13, che cadendo di domenica permise agli amici e devoti del poeta, in primis allo stesso Guido Novello, di averne contezza soltanto alle prime ore del giorno successivo, quando i figli e familiari del poeta, usciti dalla casa di buonora, bussarono alla porta del palazzo del Signore e agli usci delle dimore degli amici, per recare la notizia dolorosa.


tratto da: Giorgio Petrocchi, Vita di Dante, Napoli, Giuseppe Laterza e figli Editore, 1983
e da: Giorgio Petrocchi, Biografia, in "Enciclopedia Dantesca", Appendice (1978), pp. 1-53